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Sara Dolfi Agostini

interviste
Sara Dolfi Agostini

01 Marzo 2022

Curatori

Successo per gli artisti della diaspora con collaborazioni solide

Curatrice e responsabile catalogo ragionato Fondazione Paul Thorel

Quali sono, nella sua esperienza, gli artisti italiani contemporanei (in vita) che hanno raggiunto maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori (per es. gallerie, biennali, mostre, curatori, ecc.)? 
Direi gli artisti della diaspora ma alla condizione di non lasciare mai del tutto il nostro paese per non perdere l’occasione di esporre alla Biennale di Venezia o entrare nelle collezioni museali. Nemo propheta in patria, insomma. Gli artisti italiani con visibilità all’estero non hanno solo partecipato a biennali e mostre istituzionali di prestigio, ma hanno saputo assicurarsi collaborazioni solide con gallerie internazionali, nel circuito di Art Basel e Frieze ad esempio. Mi riferisco a Francesco Vezzoli, che ha studiato a Londra ma lavora spesso con istituzioni straniere ed è rappresentato da Almine Rech; Monica Bonvicini che ha studiato a Berlino e vive lì da anni, oltre a collaborare con Konig Galerie; Maurizio Cattelan, tra gli artisti che vivono “tra” – nel suo caso New York e Milano; infine Piero Golia, artista italiano rappresentato oggi dalla galleria Gagosian, e che a Los Angeles ha fondato The Mountain School of Arts.

Quali sono, nella sua opinione, gli artisti italiani contemporanei che non hanno ancora raggiunto adeguata visibilità per il loro valore artistico e quali sono le cause di questa mancata valorizzazione? 

Sono numerosi gli artisti italiani sottovalutati dal nostro sistema istituzionale nazionale, che non riesce a fornire gli strumenti per produrre adeguate mostre mid-career e retrospettive. Artisti come Rossella Biscotti, Marinella Senatore, Nico Vascellari, Adelita Husni-Bey dovrebbero essere più che presenze sporadiche in talk o istituzioni private italiane. Sono artisti che hanno sviluppato vocabolari formali e ricerche estetiche di valore. Inoltre nonostante siano artisti invitati e sostenuti dal sistema dell’arte internazionale, hanno scontato, e talvolta continuano a scontare il fatto che tutti i finanziamenti italiani per mostre all’estero passano da una sola commissione, quella dell’Italian Council, mentre gli artisti stranieri hanno accesso a più bandi e opportunità. 


Quali sono, nella sua esperienza, le tappe e gli elementi che favoriscono la carriera internazionale di un artista italiano contemporaneo? E dove il sistema italiano è carente per sostenere l’arte contemporanea italiana sulla scena artistica internazionale?
Studi post-graduate, residenze, partecipazioni a premi, collaborazioni editoriali e - perché no – esperienze curatoriali collettive, che permettano a un artista emergente di ampliare la propria rete di contatti, sviluppando relazioni nel tempo. Per quanto riguarda il sistema italiano, esperienze come CSAV - Artists' Research Laboratory alla Fondazione Antonio Ratti di Como o i workshop con residenza alla Fondazione Spinola Banna di Torino sono stati fondamentali per la crescita di una generazione di artisti oggi middle-career, ed è un
peccato che non esistano più nella loro forma originaria. E poi la Biennale di Venezia anche se negli ultimi anni non è stata capace di far orbitare gli artisti italiani nella Mostra internazionale. Dal 2017 tutte le speranze sono affidate all’Italian Council concepito dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Una iniziativa che punta all’internazionalizzazione dell’arte contemporanea – una prospettiva cui ambire certamente, ma che penalizza i già bistrattati musei italiani di arte contemporanea, alcuni dei quali non possono neppure partecipare per mancanza di fondi propri, o per l’impossibilità di firmare la fideiussione bancaria necessaria per ricevere il finanziamento. L’IC ha creato, si potrebbe dire, “una competizione tra poveri”, laddove ciò che era importante era semmai offrire supporto e riconoscimento ai musei italiani con finanziamenti certi e su base pluriennale. La precarietà dei mandati – con direttori licenziati da un giorno all’altro come al Centro Pecci, le gare di appalti che costringono a un enorme burocrazia a discapito della qualità del fornitore, e adesso anche l’IC producono estrema incertezza, e senza istituzioni forti, visibili, gli artisti italiani non hanno le stesse possibilità degli artisti francesi, tedeschi o americani – per citare paesi dove le possibilità di riuscita sono maggiori. E stavo per tralasciare di menzionare gli ammanicamenti nostrani che nuocciono alla reputazione del progetto, con ex giurati di IC vincitori di bandi e istituzioni proponenti senza curriculum espositivi sul contemporaneo che svettano puntualmente tra gli assegnatari dei finanziamenti.

 

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