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Valentino Catricalà
interviste
20 Maggio 2025
Curatori
Talenti invisibili: il paradosso dell’arte italiana all’estero
Museum Director presso Museum Commission, Ministero della Cultura Saudita
Quali sono gli artisti italiani contemporanei nati dopo il 1960 che hanno raggiunto una maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori ?
Se facciamo un discorso sulla visibilità internazionale occorre fare alcune puntualizzazioni. Anzitutto, stiamo parlando di artisti che hanno iniziato ad operare negli anni Ottanta, in un momento particolare per l’arte, un momento di grande cambiamento internazionale, cambiamenti principalmente economici e di sistema. L’emergere di un capitalismo finanziario ha imposto una serie di nuove regole economiche e professionali che non seguono l’atteggiamento mentale e culturale italiano. Il capitalismo finanziario ha richiesto una modifica strutturale che prevede un distaccamento dal territorio in favore di network internazionali, un atteggiamento professionale dell’artista nuovo, sempre più lontano dalla figura del bohemien, logiche di investimento finanziario e di collezionismo non basate sul rapporto umano 1 a 1, l’emergere di nuove economie, e dunque artisti, nel panorama contemporaneo (India, Cina, Africa, ecc.), e molto altro. Da un punto di vista di “centri di potere”, se si fa eccezione della città di Milano, non abbiamo altre città che si sono imposte a livello internazionale e la maggior parte degli artisti italiani più famosi appartengono, infatti, a epoche precedenti. A tutto questo aggiungiamo una poca attenzione da parte dello stato (negli ultimi anni molto migliorato) e, occorre dirlo, un po’ di esterofilia.
Non è un caso che, se si guarda alla sola questione della visibilità, quasi tutti gli artisti più “famosi” nati dopo gli anni Sessanta hanno sviluppato la loro carriera andando verso il nord, Italia ed Europa, in particolare grazie a luoghi forti a livello economico e finanziario, in Italia Milano. Per esempio, Maurizio Cattelan, nato proprio nel 1960; Vanessa Beecroft che studia a Brera; Francesco Vezzoli, Milano; Paola Pivi, milanese; Monica Bovincini, che da Genova si sposta subito al nord Europa; MASBEDO, ancora Milano; Lara Favaretto, ancora Milano; Arcangelo Sassolino, Vicenza New York; Yuri Ancarani, Milano; Giorgio Andreotta Calò, Venezia e poi estero; Rossella Biscotti, Napoli ma poi subito estero; Adelita Husni-Bey, Milano; Massimo Bartolini, ancora Milano; Liliana Moro, Milano; Formafantasma, Milano; Rosa Barba che subito lascia l’Italia per la Germania; Roberto Cuoghi, Milano; Diego Perrone, Milano, Piero Golia. E fra i più giovani Diego Marcon e Giulia Cenci. Nella sua incapacità di affermarsi come capitale europea dell’arte, Roma ha comunque lanciato artisti, certo percentuale molto piccola rispetto non solo a Milano, ma anche alle altre capitali europee. Artisti che nella maggior parte dei casi hanno fatto carriera all’estero e poi sono ritornati, pensiamo a Marinella Senatore, Elisabetta Benassi, Ra Di Martino, Quayola, Daniele Puppi.
Se scendiamo ancora nella geografia italiana il cerchio si restringe, ma dobbiamo sicuramente citare Gian Maria Tosatti, Francesco Arena.
Quali sono gli artisti che al contrario non hanno ancora raggiunto una adeguata visibilità e per quale motivo ?
Se parliamo di poetiche, staccandoci dalla questione di visibilità, io trovo che l’Italia abbia degli artisti formidabili, con grande potenzialità e che probabilmente se si trovassero in contesti diversi sarebbero già affermati. Riguardo alla visibilità, occorre però fare dei distinguo, ci sono artisti con lavori fortissimi che hanno avuto visibilità internazionale ma per vari motivi l’aspettativa è stata disattesa. Questo fattore mette in evidenza un altro problema del sistema italiano: l’incapacità di mantenere il livello internazionale conquistato. Penso a Daniele Puppi, un artista che ha lavorato con gallerie come la Lisson Gallery, Massimo De Carlo, Noero e Magazzino, primo artista italiano a fare una mostra personale all’Hangar Bicocca e tante altre importanti mostre…e poi è mancato qualcosa, quel link, quella spinta che magari in Germania o in Francia avrebbe avuto. Penso a Micol Assael, artista straordinaria, lanciatissima ma poi non ha avuto un sistema che sia riuscito veramente a comprenderne le sue necessità e a stabilizzarne la sua affermazione.
Un secondo livello, sono gli artisti che stanno lavorando molto, affermati ma che ancora non hanno raggiunto una adeguata visibilità internazionale (ma sono sulla buona strada), penso a Riccardo Benassi, Luca Trevisan, Invernomuto, Eva e Franco Mattes, Margherita Moscardini, Anna Franceschini, Alterazioni Video, Donato Piccolo, Marzia Migliora, Danilo Correale, Elisa Giardina Papa, Roberto Fassone, Tomaso De Luca, fra i molti.
Quali sono gli artisti italiani emergenti (nati dal 1990) che hanno ad oggi le potenzialità per una adeguata visibilità all’estero e grazie a quali fattori?
Penso che la scena giovanile italiana sia molto interessante, e penso anche che ci siano dei programmi importanti per mettere in evidenza questi artisti attraverso programmi strutturati, quali quelli della Fondazione Sandretto (ricordiamo EXIT, la mostra che lanciò molti artisti italiani), o il premio MAXXI Bulgari. Mi vengono in mente Valentina Furian, Irene Fanara, Gaia De Megni, Eleonora Luccarin, Monia Ben Hamouda, Binta Diaw, Ambra Castagnetti, Federica Di Pietrantonio, Emilio Vavarella, Antonio Della Guardia.
Dove, a suo giudizio, il sistema italiano è carente per sostenere l’arte contemporanea italiana sulla scena artistica internazionale?
Ovviamente non c’è una risposta univoca, ma più risposte strutturate su vari livelli. Un discorso più generale a cui ho accennato nella prima domanda: l’Italia, se molto forte in un contesto culturale ed economico internazionale ma ancora locale come quello degli anni Sessanta e Settanta, non è riuscita a seguire i cambiamenti iniziati negli anni Ottanta, eccetto Milano. Cambiamenti caratterizzati dalla deregulation, dalla globalizzazione dei mercati finanziari, da un approccio professionistico diverso. Questo ha portato anche ad un atteggiamento dell’artista nuovo: l’artista è sempre più diventato un professionista con grandi studi e persone alle proprie dipendenze, lontano dalle logiche bohemien ancora tipiche degli anni Sessanta e Settanta. Gli artisti più di successo sono come delle piccole imprese, nella propria struttura interna, inevitabile quando si entra in sistemi di produzione internazionali sempre più accelerati. Nuovi trend artistici internazionali, penso per esempio all’importanza della tecnologia nell’arte, settore oggi dominante a cui gli italiani hanno dimostrato un interesse estremamente tardivo, o il disinteresse in tematiche oggi imperanti quali quelle del gender o della sostenibilità. Un ritardo istituzionale, pensiamo che il primo vero investimento a livello bandistico per l’arte contemporanea può essere considerato l’Italian Council, nato solamente nel 2017 (il BKM in Germania è stato fondato nel 1997, per non parlare della rete internazionale dei Goethe Institute; e in Francia già da molto tempo esistono i fondi nazionali del DRAC e regionali dei FRAC). E ancora oggi un non regolamentazione giuridica del lavoro dell’artista, in questo si è battuta molto l’AWI. L’entrata di nuovi poteri internazionali che hanno promosso con forza nuovi artisti, pensiamo all’India, alla Cina, all’Africa in generale, e oggi dei Paesi ai Golfo. Inoltre, tolta la Biennale di Venezia e il MAXXI, le istituzioni con più importanza internazionale sono private e strettamente legate ad altri settori, quali la moda. E’ interessante notare, tuttavia, come quel sistema finanziario sia cambiato finanziario dalla crisi del 2008, e tale cambiamento abbia avuto una accelerazione dalla pandemia in poi. Dalla pandemia la tecnologia ha fatto una accelerazione incredibile nella gestione dell’economia mondiale (intelligenza artificiale!); c’è una emersione importante di nuovi settori della creatività; e una difficoltà da parte delle grandi città che hanno detenuto sinora un potere capitalistico di mantenere tale potere (Londra, Parigi, New York, in primis) a fronte di città nuove, cattedrali nel deserto senza storia, o con storie non legate né all’arte né a modelli economici occidentali, come Dubai, Singapore Riyadh. Forse, questa crisi può portare a un nuovo localismo e a ritrovare un nuovo atteggiamento nuovo in quelle logiche che hanno caratterizzato l’arte mondiale, e questa potrebbe essere una grande chance per l’Italia.
Quali sono gli interventi necessari per favorire un miglior sostegno?
Anche qui è impossibile dare una risposta univoca. Certamente, la prima cosa che viene in mente è “più soldi alla cultura!”, ma più soldi non sono nulla senza nuove strategie e un vero cambio di mentalità, dal basso e dall’alto. Dal basso, da parte di tutti gli operatori dell’arte. Pensiamo differentemente la figura del curatore, un ruolo in cui è sempre più richiesta non solo una conoscenza del mondo dell’arte, ma anche una competenza manageriale; come anche gli artisti, coloro che vogliono entrare in un sistema dell’arte internazionale, dovrebbero (purtroppo, o per fortuna, non lo so) pensarsi diversamente, in modo più professionistico e liberarsi un po’ di quella immagine dell’artista fuori dal sistema e contro tutti tipica di una visione bohemien (ancora era così negli anni Sessanta e Settanta, pensiamo a Roma agli Schifano, ai Boetti, agli Emilio Prini ecc.) E poi nuove strategie dall’alto, in questo l’Italian Council è stato un grande acceleratore nel pensare a una logica italiana con una visione internazionale. Ma anche finanziamenti che ripensino il museo non come luogo isolato ma integrato all’interno di logiche del turismo, della sostenibilità, dell’urbanistica, che dialoghino con la città. Mi verrebbe poi da dire, pensare a una nuova logica pubblico-privato, che si faccia forza delle realtà private, e indipendenti, che ormai dominano il panorama artistico contemporaneo. E poi mi chiedo perché non ripensare la figura dell’artista stesso, non solo come un produttore di contenuti per l’arte, ma anche come un motore sociale, qualcuno che aiuta a ripensare i tempi, ampliamento che potrebbe far attrarre finanziamenti anche fuori a quelli artistici. Pensiamo agli artisti che lavorano con le tecnologie che stanno modificando le nostre società, non potrebbero avere finanziamenti anche dal mondo dell’innovazione? Micro cambiamenti che però potrebbero accelerare un processo in atto, un po’ ancora bloccato tra un passato pesante e un futuro non ancora sviluppato.
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