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Francesca Guerisoli

interviste
Francesca Guerisoli
Fotografia di Francesco Bozzo

22 Aprile 2025

Curatori

Maggior sostegno pubblico alla produzione e promozione del lavoro artistico

Direttrice artistica di Fondazione Pietro e Alberto Rossini, Briosco (MB); Direttrice artistica di Fondazione La Rocca, Pescara; Direttrice del sistema museale MUDI Museo Diffuso di Lentate sul Seveso (MB); Docente di "Arte e Architettura", "Musei, Mostre d'arte e Turismo", "Linguaggi della Fotografia" presso Università di Milano Bicocca

Quali sono, nella sua esperienza, gli artisti italiani contemporanei (in vita) che hanno raggiunto maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori (per es. gallerie, biennali, mostre, curatori, ecc.)?  
Credo che, tra gli artisti italiani viventi – escludendo i protagonisti dell’Arte Povera come Michelangelo Pistoletto e Giuseppe Penone, ultimo grande movimento italiano di rilievo internazionale – quelli che hanno raggiunto maggiore visibilità siano Maurizio Cattelan (1960), Vanessa Beecroft (1969), Paola Pivi (1971) e Francesco Vezzoli (1971), seguiti da Luca Vitone (1964), Monica Bonvicini (1965) e, più recentemente, Marinella Senatore (1977) e Gian Maria Tosatti (1980). L’affermazione di un artista a livello internazionale dipende da molteplici fattori. Non si tratta esclusivamente della qualità della ricerca artistica o della partecipazione a biennali, mostre e fiere internazionali, ma entrano in gioco anche le economie che sostengono il lavoro degli artisti e, in modo non trascurabile, la loro capacità di coltivare relazioni interpersonali. Lavorare stabilmente nei principali centri di produzione e promozione dell’arte contemporanea dà maggiori possibilità di inserirsi nel sistema artistico globale; gli artisti citati ne sono una chiara testimonianza e lo stesso vale per i curatori. Naturalmente, anche il sostegno di gallerie commerciali di rilievo, la presenza nelle fiere più influenti, le mostre istituzionali e l'attenzione della critica svolgono un ruolo cruciale nell’affermazione internazionale di un artista.


Quali sono, nella sua opinione, gli artisti italiani contemporanei che non hanno ancora raggiunto adeguata visibilità per il loro valore artistico e quali sono le cause di questa mancata valorizzazione?

Se per “adeguata visibilità” intendiamo, da un lato, le grandi mostre personali, antologiche o retrospettive in istituzioni museali influenti, e dall’altro la partecipazione a progetti internazionali e l’assegnazione di premi rilevanti, allora credo che diversi artisti italiani non abbiano ancora ottenuto il riconoscimento che effettivamente meriterebbero. Penso ad esempio a Lara Favaretto (1973), Nico Vascellari (1976), Rossella Biscotti (1978), Andrea Mastrovito (1978), Flavio Favelli (1967), Marzia Migliora (1972), ma anche a figure di generazioni precedenti come Alberto Garutti (1948) e Cesare Pietroiusti (1955). Si tratta di artisti molto noti in Italia, che vantano importanti progetti espositivi, residenze e collaborazioni internazionali, ma che non sono ancora stati valorizzati pienamente nel contesto globale. Questa mancanza di riconoscimento può essere in parte ricondotta a una cronica difficoltà del sistema dell’arte italiano nel promuovere efficacemente all’estero le proprie risorse. La valorizzazione internazionale di un artista richiede un lavoro strutturato e continuativo, che deve necessariamente partire dal territorio e da un’azione coordinata di produzione, promozione e mediazione. In questo senso, il bando Italian Council del MiC, nato solo nel 2017, rappresenta, pur con i suoi limiti,  un primo passo nella direzione giusta, offrendo un supporto concreto all’internazionalizzazione degli artisti italiani. Gli effetti più significativi di questo strumento immagino che si vedranno nel medio-lungo periodo.

A questa difficoltà si aggiunge un'altra fragilità sistemica: in Italia facciamo spesso fatica a promuovere anche le energie migliori della critica e della ricerca. Questo è un compito che non può spettare esclusivamente al MiC, ma dovrebbe coinvolgere anche i musei, i ministeri, gli enti e gli organismi deputati alla formazione e allo sviluppo economico. A fronte di un altissimo numero di laureati in discipline storico-artistiche, di specializzati e dottori di ricerca, è sorprendente notare come siano ancora poche le ricerche accademiche dedicate all’arte contemporanea italiana. Questo perché il contemporaneo è raramente trattato come oggetto di studio dai corsi di laurea che afferiscono alla facoltà di Lettere e Filosofia e viene affrontato, in modo trasversale, da ambiti quali la sociologia, l’economia, la comunicazione o le nuove tecnologie. Il risultato è che a risentirne, in primo luogo, è proprio la ricerca artistica: in mancanza di un contesto critico e teorico solido, diventa più difficile costruire un discorso culturale organico intorno alle pratiche e agli artisti.

A tal proposito, cito una nota di Roberto Pinto che risale a ormai a diversi anni fa, quando frequentavo il Master per Curatori dell’Accademia di Brera, sostenuto dalla Regione Lombardia tramite il Fondo Sociale Europeo. Pinto commentava un dato emblematico: nel numero monografico di October, la prestigiosa rivista del MIT, intitolato Postwar Italian Art (n. 124, Spring 2008), su nove saggi, oltre all’introduzione, non c’era un solo contributo firmato da un ricercatore italiano. Un’assenza significativa, che ci dice molto su quanto poco il nostro pensiero critico riesca a incidere nelle dinamiche culturali e curatoriali internazionali. Negli ultimi anni sono stati compiuti alcuni passi avanti: sul rafforzamento dell’arte italiana di ricerca, andrà valutato, ad esempio, l’impatto dei nuovi dottorati attivati recentemente dalle Accademie di Belle Arti, così come quello dei dottorati universitari che potranno trattare come oggetto di studio la scena artistica contemporanea.

 

Quali sono, nella sua esperienza, le tappe e gli elementi che favoriscono la carriera internazionale di un artista italiano contemporaneo? Dove il sistema italiano è carente per sostenere l’arte contemporanea italiana sulla scena artistica internazionale?

Un elemento fondamentale per lo sviluppo di una carriera internazionale, oltre alla qualità della ricerca artistica – che deve essere attuale, rigorosa, innovativa – è la rete di contatti e di supporto che l’artista riesce a costruire e ampliare nel tempo. A ciò si aggiungono fattori personali quali la determinazione, l’ambizione, la capacità di muoversi tra contesti diversi, ma anche elementi quali l’ambiente socio-economico di provenienza, che incide significativamente sulla possibilità di dedicarsi alla pratica artistica in modo continuativo ed esclusivo.

Credo che la formazione eccellente e la capacità di formalizzare una visione o un processo da soli non bastino. Nel nostro sistema, che soffre ancora di forti carenze strutturali, se un artista incontra difficoltà ad affermarsi nel proprio Paese, è ancora più difficile che riesca a farlo all’estero. Partecipare a programmi di residenza, per esempio, spesso esclude la possibilità di avere un impiego stabile e di sostegno – come, ad esempio, l’insegnamento – generando un problema pratico di sostenibilità della propria carriera.

Il sistema italiano dell’arte contemporanea evidenzia ancora una carenza nella capacità di fare rete tra pubblico e privato e nel sostenere in modo organico e continuativo i propri artisti e i critici. Negli ultimi anni, va riconosciuto, il MiC ha posto maggiore attenzione sull’arte contemporanea, e il Paese può contare su una rete vitale di fondazioni, spazi indipendenti, associazioni e altre realtà private. Tuttavia, manca ancora la capacità di creare un ecosistema capace di garantire continuità e sostegno strutturale ai “lavoratori dell’arte", soprattutto a quelle fasce più fragili economicamente, che spesso sono anche le più sperimentali e innovative.

A livello internazionale, vediamo artisti italiani che partecipano a mostre collettive, residenze e progetti di rilievo. Ma troppo spesso questi restano episodi insufficienti a costruire una posizione solida e riconoscibile nel panorama globale. Serve, dunque, un investimento maggiore nella produzione e nella promozione del lavoro degli artisti e dei curatori, tanto sul piano pubblico – attraverso il MiC, gli Istituti Italiani di Cultura all’estero, i musei  e le istituzioni – quanto su quello privato, con un rinnovato spirito di mecenatismo da parte di collezionisti e fondazioni, in una chiave di co-progettazione che vada oltre le logiche della pura sponsorizzazione.

Accanto agli aspetti economici e promozionali, è fondamentale rilanciare il ruolo della critica d’arte, che oggi fatica ad avere una presenza incisiva nel dibattito nazionale, figuriamoci in quello internazionale! Abbiamo bisogno di una critica, ben formata in ambito storico-artistico, capace di raccontare con competenza le specificità dell’arte italiana contemporanea, di accompagnarne i percorsi degli artisti e di collocarla all’interno dei grandi discorsi globali.
Purtroppo, i cambi di direzione politica, sia a livello nazionale sia locale, spesso incidono negativamente sulla continuità di un progetto culturale che, invece, avrebbe bisogno di stabilità per crescere e consolidarsi. Ciò è particolarmente evidente nei musei pubblici, responsabili di selezionare e valorizzare l’arte, che dovrebbero essere indipendenti dalle amministrazioni pubbliche per non cadere in strumentalizzazioni. Privi dei fondi necessari per una gestione di base, i musei oggi rischiano di diventare espressione delle gallerie commerciali, rinunciando così alla propria dimensione pubblica. Inoltre, l'assenza di continuità nelle politiche culturali rende difficile attrarre investimenti esterni, che gioverebbero alla programmazione museale e all’intero sistema dell’arte. 

A ciò si aggiunga che, oggi, diversi bandi pubblici per la selezione di direttori museali non fanno richiesta di profili altamente specializzati a cui affidare un incarico di tale rilevanza e responsabilità pubblica (basta infatti la laurea specialistica in storia dell’arte), cosa peraltro denunciata recentemente anche da ICOM Italia. In un contesto in cui la “politica degli annunci” e la vetrinizzazione sociale tendono a prevalere sul lavoro spesso invisibile di costruzione di reti territoriali e tematiche e di studio del patrimonio culturale, ritengo che sia fondamentale guardare a Claire Bishop quando parla di “museologia radicale”: un approccio che metta al centro la funzione sociale e critica del museo e che ridia centralità a questo luogo come connettore del territorio, come sottolinea anche Pier Luigi Sacco. 

Riconquistare una posizione di prestigio a livello globale non sarà semplice, ma è un obiettivo a cui dobbiamo continuare a tendere, con una strategia chiara, responsabilità condivisa e una visione collettiva e connettiva a lungo termine.

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