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Davide Quadrio

interviste
Davide Quadrio
Fotografia di Perottino

14 Gennaio 2025

Direttori musei

La necessità di internazionalizzare un sistema inceppato

Direttore MAO Museo d’Arte Orientale, Torino

Quali sono, nella sua esperienza, gli artisti italiani contemporanei (in vita) che hanno raggiunto maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori (per es. gallerie, biennali, mostre, curatori, ecc.)?
Prima del mio ritorno in Italia, nel 2019, ho osservato l'Italia e l’arte contemporanea italiana dal mondo orientale e, in particolare, dalla Cina. Per oltre vent’anni ho visto che cosa veniva proposto dall’Italia e come gli artisti italiani venivano presentati in una Cina in continua evoluzione ed espansione. Gli artisti italiani presentati in Cina e che godono di un grande riconoscimento non sono molti e, a parte le star come Cattelan, che ha presentato qualche anno fa una mostra a Shanghai allo Yuz Museum con Gucci e che ha avuto una sua retrospettiva allo UCCA a Pechino, pochi altri hanno goduto di visibilità. Ricordo Paola Pivi al Rockbund, per esempio, o Pistoletto al PSA di Shanghai. Mostre collettive o personali di artisti italiani in Cina sono state allestite in istituzioni o gallerie private, soprattutto, quando Continua ha aperto a Pechino, oppure in gallerie dinamiche e giovani, come Aike e Capsule a Shanghai. Negli ultimi dieci anni De Carlo ha aperto a Hong Kong, in zona come dire “franca”, e da lì ha pilotato mostre e presenze soprattutto attraverso istituzioni cinesi e fiere come Westbund, sempre a Shanghai. Bonami è alla testa di un museo a Hangzhou, ma non sembra stia proponendo programmi molto visibili sulla scena cinese. Altri curatori italiani hanno curato spesso mostre in Cina; Achille Bonito Oliva, per esempio, ha portato una mostra importante sulla Transavanguardia alla fine degli anni Novanta e poi ha portato mostre enciclopediche di arte contemporanea e design italiano fino alla metà degli anni 2000. Fotografi come Olivo Barbieri sono stati presentati frequentemente in Cina.
 

Quali sono, nella sua opinione, gli artisti italiani contemporanei che non hanno ancora raggiunto adeguata visibilità per il loro valore artistico e quali sono le cause di questa mancata valorizzazione?
Mancano ancora grandi retrospettive di maestri italiani come Penone, l'Arte Povera in generale, Piero Manzoni, che credo abbia avuto una grande influenza su intere generazioni di artisti cinesi e asiatici, o ancora Boetti… mancano progetti di espansione dell’arte contemporanea italiana attraverso mostre che portino realmente artisti italiani nel contesto cinese contemporaneo. Permangono tante mostre istituzionali sull’Italia antica che funzionano su un preconcetto di scambio culturale basato su import-export di esposizioni “impacchettate” e trasportate in maniera meccanica e funzionale. Con paesi come la Cina servirebbero, e ne sono sempre più convinto, una progettualità a lungo termine e una collaborazione “emozionale”. Con “emozionale” intendo un atteggiamento empatico basato sull’ascolto, che metta in relazione in maniera organica e rispettosa. Credo che solo con l’ascolto e l’osservazione si possa scegliere e costruire progetti con artisti italiani che abbiano veramente senso. Mi sembra che non aver avuto ancora una mostra importante sull’Arte Povera sia un'opportunità persa. Di fatto, come ovunque, le gallerie potenti scelgono e portano progetti nei musei (anche in Cina ovviamente) troppo legati a interessi particolari.


Quali sono, nella sua esperienza, le tappe e gli elementi che favoriscono la carriera internazionale di un artista italiano contemporaneo? E dove il sistema italiano è carente per sostenere l’arte contemporanea italiana sulla scena artistica internazionale?
Credo che il Covid abbia mostrato molto chiaramente la mancanza di visione che il nostro paese ha nel sostenere gli artisti contemporanei. Manca una visione che sostenga in maniera capillare le varie forme di creazione artistica. Nonostante questo, gli artisti in Italia continuano imperterriti a lavorare, cercando soluzioni per sopravvivere. Certo ci sono fondi, sostegni dal Ministero della Cultura, per esempio, virtuosi ma cavillosi e basati su strutture di pensiero e tecniche che non rispondono alla realtà spumeggiante del mondo creativo. Molti artisti e “cultural producers”, come amo definirmi, si affidano più al privato o a organismi di sostegno internazionale perché non solo è più efficiente e semplice, ma anche perché più dinamico e capace di muoversi in maniera più organica. Per assurdo, artisti come Rossella Biscotti, Anna Raimondo, Alessandro Sciarroni, Andrea Anastasio, Chiara Bersani, con cui lavoro assiduamente da anni e con cui ho presentato recentemente “Fluxo”, un incontro con l’acqua a Pirelli HangarBicocca, che ha viaggiato in Cina e Corea, lavorano all'estero e trovando risorse “strutturali” in paesi terzi o nel privato. L’idea tutta italiana che artisti e curatori debbano lavorare in una progettualità fragilizzata da fondi - erogati solo alla fine del progetto o centellinati durante la fase più importante, cioè quella della creazione - indebolisce e penalizza il sistema dell’arte. Non è un caso che artisti e curatori italiani motivati e di successo non vivano in Italia o ci passino periodi brevi legati a progetti circoscritti. Credo, però, che sia necessario - e me ne faccio portatore - che figure professionali italiane con un forte background internazionali si reinseriscano nell’ecosistema italiano portando la propria esperienza e cercando di “internazionalizzare” un sistema inceppato, che mi sembra, desideri anche muoversi in direzione esponenzialmente liberatoria. Il mio rientro in Italia rappresenta anche questo desiderio.

 

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