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Alberto Salvadori
interviste
15 Gennaio 2025
Direttori musei
Istituzioni troppo legate alla politica
Direttore Fondazione ICA Milano e Direttore Archivio Mulas
Quali sono gli artisti italiani contemporanei nati dopo il 1960 che hanno raggiunto una maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori?
Gli artisti che hanno raggiunto maggiore visibilità nati da quella data sono molto pochi; direi Cattelan, Vezzoli, Beecroft, Rosa Barba. I fattori sono differenti, anche perché differente è il loro lavoro; un tratto in comune, però, è quello di avere tutti un’esperienza di vita professionale non esclusivamente italiana. Altra dote è la capacità di farsi notare, non perché italiani, ma perché grandi artisti, utilizzando linguaggi e strategie diverse. Infine, penso che il loro lavoro esuli dalla innata propensione italiana del saper fare, mettendo al centro la forza delle idee e le loro qualità concettuale. Fortunatamente, al di fuori dell’Italia stanno emergendo anche altri artisti molto bravi, come Guglielmo Castelli, Yuri Ancarani, Giorgio Andreotta Calò, Riccardo Benassi, Diego Marcon, Chiara Camoni, Marinella Senatore, Giulia Cenci, e si sta affacciando una nuova generazione con nomi come Perucchini, Diaw, Moccia, Giardina Papa e altri.
Quali sono gli artisti che, al contrario, non hanno ancora raggiunto una adeguata visibilità e per quale motivi?
Qui i nomi sono molti per me, ma non me la sento di fare un elenco. Penso che sia molto complesso e anche imperfetto continuare a ragionare su artisti italiani come concetto identitario. Bisogna essere artisti, poi, dove si nasce o si cresce può influenzare chi siamo, ma non crea le condizioni per essere un buon artista.
Quali sono gli artisti italiani emergenti (nati dal 1990) che hanno ad oggi le potenzialità per una adeguata visibilità all’estero e grazie a quali fattori?
Alcuni nomi li ho fatti sopra.
Dove, a suo giudizio, il sistema italiano è carente per sostenere l’arte contemporanea italiana sulla scena artistica internazionale?
Il sistema italiano è palesemente carente per sostenere la scena artistica italiana nel contesto internazionale, sia perché sono cambiati i parametri per il cosiddetto sostegno, che non può essere univocamente pubblico, con le sue regole, pregi e difetti, sia per il deficit programmatico e relazionale delle nostre istituzioni. È da rimarcare, innanzitutto, il problema dei musei pubblici, comunali e nazionali, da decenni controllati dalla politica e suoi affiliati, con le conseguenze che tutti possiamo constatare: la loro strutturale debolezza progettuale e l’impossibilità per i bravi professionisti che ci lavorano dentro di svolgere al meglio il loro lavoro. La programmazione ovunque, in Europa e non solo, viene fatta con almeno due, tre anni di anticipo, da noi lo stesso lasso di tempo spesso corrisponde alla tornata elettorale alla quale di frequente sono agganciati gli incarichi. Direzioni di valore rischiano così di divenire esperienze evanescenti, con una ricaduta anche sugli staff museali, alienando la possibilità di consolidare internamente pratiche di esperienza condivise, consolidate e profonde. Questo enorme problema di selezione e tempistiche si connette direttamente alla governance dei musei stessi e alle fondazioni partecipate da stakeholder pubblici e privati ma con funzione pubblica, come le fondazioni bancarie. Aggiungerei anche le riforme incomplete, come quella Franceschini che, tra le varie storture, stabilisce in due mandati al massimo la durata di un incarico e l’arrivo di persone con formazione non storico artistica alla direzione di importantissimi musei. È un’impostazione fuorviante rispetto alle buone prassi a cui poter far riferimento, si pensi a professionisti come Max Hollein, Thelma Goldberg, Gabriele Finaldi, Adam Weinberg, Nicholas Serota, Manuel Borja-Villel… oppure guardando al passato Philippe Montebello, Michel Laclotte, Antonio Paolucci, Palma Bucarelli e altre importantissime figure: tutti nomi che oltre alla durata del loro incarico, non a tempo, hanno e avevano una solidissima formazione storica, critica, artistica. È necessario, inoltre, sganciare le istituzioni culturali dalla logica prodotta dal management dei beni culturali: senza ricerca finalizzata alla produzione di idee e programmi non sono certo i manager ad avere le competenze necessarie per poter tenere in piedi il sistema. Io lascerei ad ognuno i propri compiti.
Quali sono gli interventi necessari per favorire un miglior sostegno?
Ne sceglierei tre molto importanti: cercare di risolvere il tema della governance partendo da una necessaria riorganizzazione degli statuti e affrontare un tema cruciale come quello del patrimonio, in particolare le collezioni. Per avere musei più autonomi e dinamici con forti poteri attrattivi è fondamentale cambiare il principio di gestione degli stessi ma lasciare il loro patrimonio integralmente pubblico. Svincolarli da ministri, governatori di regione, sindaci e assessori favorendo al massimo la partecipazione di chi ha passione e strategicamente voglia fare parte di un processo culturale come quello del rafforzamento dei nostri musei e del lavoro degli artisti. Le istituzioni culturali devono essere attrattive per i privati e se non esiste il principio della distanza dalla politica e dagli interessi ad essa connessi non lo saranno mai.
Poi nessuno cita il fatto che il nostro patrimonio è stato creato sostanzialmente da privati; lo stato in Italia da questo punto di vista è sempre stato leggero, avendo una sua storia unitaria così giovane. Non capisco perché debba essere oggi così pesante. È chiaro che una politica seria, senza dogmi e ideologie si dovrebbe adoperare per una possibile opera di defiscalizzazione al fine di creare quegli aiuti necessari, in qualsiasi forma, per favorire una migliore governance e produzione. Abbiamo, ad esempio, l’art bonus? Bene, visto che lo abbiamo “ereditato” dai francesi perché non abbiamo ereditato anche la possibilità per le persone fisiche di poterne usufruire? E perché non è possibile destinarlo ad istituzioni culturali no profit private che operano nel terzo settore con finalità pubbliche?
Infine, la notifica, la legge scritta magistralmente nel 1939, poi rivista in varie fasi successivamente, è chiaramente oggi tutta da rivedere. Personalmente sono a favore della valorizzazione e conservazione del patrimonio pubblico, quindi, vigilare sulle opere è necessario, però, è chiaro che i parametri vadano rivisti. Pochi vogliono o possono fare mostre di artisti italiani fuori dall’Italia, la minaccia della notifica è sempre in agguato e questo, ad esempio, sta diventando un problema molto serio. Gli artisti sono i protagonisti di questo mondo e da sempre hanno un dialogo aperto con i loro collezionisti, con chi li segue ed è pronto a promuoverli. Sta a chi gestisce le regole facilitare questi processi, così potremo forse trarne tutti dei benefici, altrimenti non lamentiamoci della nostra assenza dal dibattito internazionale, o del fatto che le collezioni dei musei italiani, escluse poche eccezioni, siano così deboli, a tratti davvero poco rilevanti rispetto a quello che hanno fatto e fanno i privati. Non dimentichiamoci che siamo un paese con una cultura del collezionismo di prim’ordine, questo sì a livello internazionale.
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