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Carolyn Christov-Bakargiev
interviste
01 Marzo 2022
Curatori
Il talento è dappertutto, ma pochi i curatori italiani all'estero
Curatrice
Quali sono, nella sua esperienza, gli artisti italiani contemporanei (in vita) che hanno raggiunto maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori (per es. gallerie, biennali,mostre, curatori, ecc.)?
Il più famoso è certamente Giuseppe Penone, che è considerato il più importante scultore vivente al mondo. Altri molto noti sono tutti gli artisti ancora vivi dell’Arte Povera, come Pistoletto, Anselmo, Calzolari, Zorio e Paolini. Così come gli artisti della Transavanguardia, tra cui il più noto è Francesco Clemente, seguito da Enzo Cucchi e Mimmo Paladino; Sandro Chia e Nicola de Maria sono un pò noti.
Se guardiamo alla generazione successiva, il più noto è Maurizio Cattelan e Francesco Vezzoli, ma anche Roberto Cuoghi ha una notorietà a livello internazionale. Cesare Pietroiusti si è affermato in un circuito alternativo legato all’arte performativa, lontana dal mercato.
Altri noti a livello internazionale sono Piero Golia, Enrico David, Yuri Ancarani, Patrizio Di Massimo, Alex Cecchetti. Anche Rossella Biscotti e Marinella Senatore. Cominciano a farsi strada anche i nomi di Renato Leotta ed Elena Mazzi e il giovane Francis Offman (Nato a Butare in Ruanda, classe 1987 vive e lavora a Bologna).
Il perché è complesso. Gli artisti dell'Arte Povera sono molto bravi e hanno sempre avuto una visione internazionalista, emersa insieme alla Conceptual Art, alla Post-Minimal Art e alla Land Art. Era tutta una generazione di amici, non si definivano italiani, ma era una comunità internazionale. Ora, paradossalmente, nell’era della digitalizzazione, gli artisti sono più ripiegati nel loro contesto locale, invece di diventare più internazionali; si sono create delle bolle, per cui gli artisti sono noti nel loro paese. Come a livello politico, anche
nell’arte c’è molto più provincialismo e localismo.
Poi ci sono motivazioni legate al lavoro dei curatori. Personalmente, ogni volta che ho curato mostre internazionali, ho sempre inserito artisti italiani. A documenta c'erano tantissimi italiani, per esempio Rossella Biscotti, che aveva già contribuito lei stessa alla propria fama internazionale studiando ad Amsterdam alla Rijksakademie. Se ai curatori italiani non viene affidata la curatela delle grandi mostre, non ci saranno mai tanti artisti italiani nelle manifestazioni internazionali. Essendo io per metà italiana e avendo trascorso qui gran parte della mia vita, conosco bene il contesto nazionale, quindi, è ovvio che, quando curo una mostra internazionale, io inserisca artisti italiani. Ma sono pochi i curatori italiani all’estero.
È importante anche che siano gli stessi artisti a viaggiare e a studiare o lavorare all’estero. Se vivono a Londra, Berlino, Amsterdam hanno più possibilità di entrare in contatto con la comunità internazionale. Dal punto di vista del mercato, noto una maggiore concentrazione sul passato. A parte Roberto Cuoghi, che è rappresentato da Hauser & Wirth, l’attenzione delle gallerie internazionali ricade sull’Arte Povera (Gagosian, Marian Goodman, White Cube).
Quali sono, nella sua opinione, gli artisti italiani contemporanei che non hanno ancora raggiunto adeguata visibilità per il loro valore artistico e quali sono le cause di questa mancata valorizzazione?
Sono tantissimi, immagino, ma non posso fare dei nomi. Se li conoscessi, avrebbero la visibilità che si meritano, perché io gliela darei. Tra gli artisti che sostengo in questo momento ci sono la performer Silvia Calderoni con la sua partner Ilenia Caleo, che viene dal teatro e dalla performance ed è emersa anche grazie a Gucci, perché è la musa di Alessandro Michele, Irene Dionisio, Alice Visentin, Guglielmo Castelli, che ho scoperto alla Quadriennale nel 2021 e acquistato per il Castello di Rivoli. Quest’ultimo ora inizierà a lavorare con la galleria Andrew Kreps di New York. Non è difficile sostenere la nuova generazione. Certo diventa complicato se il curatore non parla l’inglese e non si raffronta con l’estero. In Italia c’è ancora un giro molto locale di curatori che non esce dall’Italia.
Io penso che il talento sia dappertutto, non si trova in un paese più che in un altro. È piuttosto una questione di geopolitica ed economia: il talento artistico emerge là dove si sposta l’attenzione geopolitica ed economica internazionale, come sta accadendo adesso per gli africani contemporanei, che vanno di moda perché l’attenzione internazionale nel XXI secolo si è spostata sull’Africa e sulle sue risorse, e l'ossigeno che producono le sue foreste. Anche nel 1480, c’erano artisti bravi non solo in Toscana, ma lì stava emergendo la "dinastia" dei Medici, per cui si è affermata l’arte del Rinascimento. L’opera d’arte nasce lì dove ci sono le committenze, là dove si mette l’artista nelle condizioni di creare. Lo stesso discorso vale per l’ascesa della Cina e, quindi, dell’arte contemporanea cinese nel momento in cui i talenti locali sono stati messi nelle condizioni di produrre. Non si deve dimenticare, per citare un altro esempio, la Fiat quando si analizza la nascita dell’Arte Povera a Torino. La crisi dell’arte in Italia oggi, così come in altri settori, è dovuta al fatto che i centri nevralgici del potere sono altrove. Tuttavia, l’Italia è un paese di grandi risorse che riesce sempre a rinascere e, certamente, ci saranno nuovi artisti italiani che riusciranno ad affermarsi.
Quali sono, nella sua esperienza, le tappe e gli elementi che favoriscono la carriera internazionale di un artista italiano contemporaneo? E dove il sistema italiano è carente per sostenere l’arte contemporanea italiana sulla scena artistica internazionale?
È sempre meno carente grazie a tutto ciò che ha fatto Franceschini come Ministro della Cultura, in primis con l’Italian Council. È molto importante per un curatore avere la possibilità di partecipare ad un bando del governo per chiedere fondi per produrre un’opera per una mostra. Andrebbero creati ancora più bandi, ma è un inizio. Questa, adesso, è la cosa principale per sostenere gli artisti italiani.
Inoltre, andrebbero istituiti fondi per permettere le residenze di artisti italiani all’estero. Da un punto di vista fiscale, non vedo grossi problemi, perché il nostro patrimonio è molto tutelato, ma allo stesso tempo non ci sono difficoltà per esportare l’arte più contemporanea. Forse si potrebbe migliorare la questione della defiscalizzazione delle donazioni di opere d’arte, rendendo detraibile il valore dell’opera al momento della donazione e non al momento dell’acquisto. Questo sarebbe un incentivo che potrebbe far aumentare l’arte nei musei e, di conseguenza, la visibilità internazionale dell’arte italiana, perché adesso, quando gli stranieri vengono a visitare l’Italia, non trovano nei musei l’arte contemporanea italiana. Purtroppo, in Italia, ci sono tanti curatori localisti che non favoriscono l’internazionalizzazione dell’arte italiana, perché sostengono un’arte italiana caratterizzata da un gusto molto conservatore. Sostengono artisti “vecchi”. L’arte contemporanea, invece, non è quella tradizionalista. C’è una contraddizione alla base del problema. Una sorta di nodo psicanalitico da risolvere.
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