Il presente sito utilizza i cookie di tracciamento al fine di valutare la provenienza ed il comportamento dell'utente.
Clicca su ACCETTO per consentire l'utilizzo dei Cookies oppure clicca su DECLINO per proseguire in forma anonima

04 Giugno 2025 Artforum, "Diana Anselmo" | 16 Aprile 2025 Frieze, "Must-See: The Tears of Karl Lagerfeld" | 16 Aprile 2025 Süddeutsche Zeitung Magazin, "Mit welcher Haltung kommt man in der Kunstwelt am weitesten, Maurizio Cattelan?" | 09 Aprile 2025 The Berliner, "Consider Listening: An exhibition urging calm amidst outrage" | 02 Aprile 2025 Wallpaper, "Aboard Gio Ponti's colourful Arlecchino train in Milan, a conversation about design with Formafantasma" | 26 Marzo 2025 Frieze, "Diego Marcon’s Films Conjure a Familiar, Grotesque World" | 19 Marzo 2025 Arts Hub, "1500-degree molten steel installation, inspired by Caravaggio, to drip from the ceiling of Mona" | 15 Maggio 2024 Frieze, "Silvia Rosi Gives Voice to Her Parents’ Migration Story" | 30 Marzo 2024 The Korea Times, "Foreigners Everywhere: Artist duo who inspired this year's Venice Biennale lands in Seoul" | 07 Febbraio 2024 Artnet News, "Ceramics Are as Contemporary as a Smartphone: Chiara Camoni on Her Tactile Sculptures"

Vittoria Matarrese

interviste
Vittoria Matarrese

20 Maggio 2025

Curatori

Arte italiana, vocazione globale in un sistema locale

Direttrice artistica Art Week Riyadh

Quali sono gli artisti italiani contemporanei nati dopo il 1960 che hanno raggiunto una maggiore visibilità all’estero e grazie a quali fattori?

Direi che ci sono alcune figure ormai consolidate nel panorama internazionale. Monica Bonvicini, per esempio, è un caso emblematico: nata nel 1965, ha costruito una carriera solida tra Italia e Germania, lavorando su temi forti come il potere e il genere, con un linguaggio installativo potente. La sua presenza costante nelle grandi istituzioni europee e americane è anche il frutto di una scelta di vita e di lavoro a Berlino, che l'ha inserita in un circuito più aperto. Un'altra figura importante è Rosa Barba. Nata nel 1972, ha sviluppato una pratica tra film sperimentale, suono e paesaggio. La sua forza è la coerenza e l’interdisciplinarietà, che l’hanno portata a esporre al Reina Sofía, alla Biennale di Venezia, e in molti musei di prestigio. In questo caso, ha contato molto anche il sostegno di curatori internazionali.Poi ci sono Vanessa Beecroft, che ha saputo imporsi con una pratica performativa legata all'identità e al corpo e Paola Pivi, le cui installazioni visionarie e surreali sono accolte molto bene all’internazionale. Anche Claire Fontaine, pur essendo un collettivo, ha avuto una diffusione significativa grazie a un impianto teorico e politico forte, capace di entrare nei circuiti francesi, tedeschi e americani. Vale la pena di menzionare Arcangelo Sassolino e Marinella Senatore, che con linguaggi diversi – uno più meccanico e materico, l’altra partecipativo e sociale – che hanno saputo ottenere visibilità in contesti europei e statunitensi, grazie anche a grandi gallerie italiane con presenza internazionale. 

 

Quali sono invece gli artisti che, pur avendo una ricerca solida, non hanno ancora raggiunto una visibilità adeguata e perché?
Questa è una domanda delicata, ma importante. Ci sono artisti italiani di grande qualità che, per vari motivi, restano confinati a una visibilità nazionale o regionale. Francesco Arena, ad esempio, lavora in modo estremamente raffinato sul rapporto tra storia, spazio e memoria, ma la sua presenza fuori dall’Italia resta sporadica.
Altri casi interessanti sono quelli di Nico Vascellari che ha una pratica visivamente forte, spesso al confine tra arte visiva, musica e performance, e Alessandro Piangiamore con lavori poetici e profondi. La mancanza di un supporto galleristico capace di portarli in musei o collezioni internazionali fa si che non si consolida la loro presenza costante fuori dall’Europa. In generale, spessissimo il limite non è nella qualità dell'opera, ma nelle reti che circondano gli artisti.

 

Chi sono, invece, gli artisti italiani nati dopo il 1990 che mostrano oggi un forte potenziale internazionale? E grazie a quali elementi?
Tra i giovani nati dopo il 1990 ci sono nomi davvero interessanti. Giovanni Vetere, ad esempio, è un artista che lavora su corpo, acqua ed ecologia, con un linguaggio performativo che ha già trovato spazio in Germania e in contesti internazionali grazie ad un linguaggio che risuona con le urgenze contemporanee. Rebecca Moccia, classe 1992, si concentra sulla percezione e sul rapporto con il tempo e la spiritualità. Ha già esposto al MAXXI, alla Quadriennale e anche in Asia, e sta costruendo una traiettoria solida grazie a una ricerca coerente e riconoscibile. Anche Giulia Poppi lavora su forme plastiche e organiche, con una poetica molto personale che ha trovato spazio in istituzioni come il MAMbo o la Fondazione Sandretto. Nata appena prima del 90 c’é Giulia Cenci, con già una solida reputazione internazionale. Ma si tratta solo di qualche nome. La giovane scena contemporanea é ricca, fertile, merita di essere riconosciuta. 

 

Dove vedi le principali carenze del sistema italiano nel sostenere l'arte contemporanea sulla scena globale?
Il problema è strutturale. Esistono già iniziative degli Istituti Italiani di Cultura e del Ministero degli Affari Esteri che offrono sostegno alla promozione artistica all’estero, attraverso mostre, residenze e scambi culturali. Tuttavia, manca un’agenzia interamente dedicata all’arte contemporanea, strutturata sul modello del Goethe-Institut in Germania, di Pro Helvetia in Svizzera o dell’Institut Français, con fondi e programmi specificamente pensati per accompagnare gli artisti italiani all’estero e su lunghi periodi.
Le residenze, che sono fondamentali per connettere gli artisti a reti globali, spesso non hanno fondi adeguati o dipendono da iniziative private senza un vero sostegno statale. Le fiere italiane, come Artissima o Miart, giocano un ruolo importante nella scena nazionale e presentano contenuti di altissima qualità. Tuttavia, faticano ancora a competere, in termini di visibilità internazionale, con i grandi appuntamenti globali. Serve un investimento maggiore, anche a livello istituzionale, per rafforzare il loro potenziale attrattivo verso collezionisti e curatori stranieri. C'è anche un problema di formazione e di networking. Gli artisti spesso non entrano in contatto con curatori stranieri, anche per la mancanza di occasioni e piattaforme strutturate. Inoltre il collezionismo italiano tende a essere prudente: investe poco sugli artisti emergenti, preferisce i nomi storici dell’arte moderna o allora guarda al mercato estero.

 

Cosa servirebbe, secondo te, per migliorare il sostegno agli artisti italiani?
Servirebbe innanzitutto un’agenzia pubblica dedicata, che possa sostenere la partecipazione a biennali, fiere e residenze internazionali, ma anche tradurre e diffondere cataloghi, testi, interviste. Sarebbe utile anche costruire una rete di curatori italiani all’estero che facciano da ponte.
Poi ci vorrebbero incentivi fiscali per chi investe su artisti under 40, per stimolare un collezionismo più dinamico. 
Infine, bisognerebbe rafforzare le fiere italiane rendendole più attrattive per l'estero, e spingere i musei pubblici a demoltiplicare le reti con le istituzioni internazionali. Anche la digitalizzazione e la comunicazione in inglese sono aspetti che richiedono ancora un’attenzione maggiore.
Il problema poi a mio avviso non é solo all’estero. Anche in Italia stessa c’é una mancanza di circolazione e di visibilità. Il sistema italiano si concentra quasi esclusivamente su Milano, Roma e Torino. Lì trovi le grandi gallerie, le istituzioni più visibili, le accademie più collegate con l'estero. Ma l’Italia è molto più vasta e complessa.
Il Sud, per esempio, ha tantissima energia creativa, ma manca quasi completamente di un ecosistema. Napoli è un’eccezione, grazie a fondazioni come Morra o al MADRE, ma altre città come Bari, Lecce, Catania, Reggio Calabria o Cagliari producono arte di qualità senza avere gli strumenti per promuoverla al di fuori.
Anche in città di medie dimensioni come Prato, Bologna o Bolzano ci sono istituzioni e residenze interessanti, ma spesso non riescono a far circolare gli artisti in un contesto più ampio.
Bisognerebbe creare programmi decentrati, rafforzare le accademie del Sud collegandole a reti internazionali, e considerare le residenze come strumenti reali di inserimento e non solo di produzione. Altrimenti continueremo a raccontare l’arte italiana attraverso uno sguardo parziale e sbilanciato.
 
 

© La riproduzione dei contenuti è riservata

altre interviste

tutte le interviste