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approfondimenti normativi

L'arte oltre i suoi confini

La circolazione internazionale delle opere d’arte è una costante della storia.  Ciò che è mutato nel tempo è il valore che le comunità hanno attribuito a tali beni, a lungo considerati unicamente in virtù del loro pregio estetico e come strumento di manifestazione del potere, quest’ultimo assiduo (e interessato) committente.  A partire dal XIX secolo, le opere d’arte hanno progressivamente acquisito un valore identitario, divenendo elementi attorno ai quali le collettività si riconoscono e si aggregano.  Oggi il “bene culturale” è definito, in senso ampio, come “testimonianza avente valore di civiltà” (Commissione Franceschini, 1964). L’oggetto materiale che ne costituisce il supporto va dunque considerato non solo nella sua fisicità, ma quale veicolo di un valore immateriale - artistico, storico, archeologico, archivistico, e così via - che ne determina la rilevanza culturale e sociale (nonché l’esigenza di tutela specifica).  In virtù di ciò, il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, pur sancendo il principio della libera circolazione delle merci nel mercato interno (artt. 34 e 35), consente agli Stati membri di imporre restrizioni e divieti al commercio per motivi di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale (art. 36).

 

Sezione a cura di CBM & Partners 

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Fondamenti storici e costituzionali della tutela del patrimonio culturale

L'Italia, crocevia di influenze artistiche e culturali, ha sviluppato una legislazione in materia di beni culturali fortemente influenzata dalle spoliazioni subite nel corso della sua storia frammentata, con le razzie napoleoniche come esempio emblematico dello shock culturale subito. L’esperienza dimostra come la nascita e il raffinamento della filosofia della tutela sono storicamente legati a momenti di crisi: il diritto si afferma in risposta a fenomeni precedentemente non regolati, o non sufficientemente.

La normativa italiana in materia ha assunto fin dall'inizio un'impronta protezionista, basata su un sistema di controllo delle esportazioni “a maglie strette”, concepito per trattenere nel territorio il maggior numero possibile di opere d'arte (o perlomeno, questi sono gli effetti diretti). Nonostante il riferimento normativo sia scomparso, lo spauracchio è sempre il medesimo: il danno al patrimonio culturale nazionale.

Attualmente, la materia è regolata dal Decreto Legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali o CBC), ispirato ai principi costituzionali di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico nazionale (artt. 9 e 117). Almeno in teoria.

A fronte delle limitazioni imposte ai proprietari di beni culturali, manca un sistema efficace di valorizzazione per i beni la cui esportazione è vietata: essi restano perlopiù confinati in depositi museali sovraffollati, caveaux e abitazioni private, senza che lo Stato investa risorse adeguate a garantirne la fruizione pubblica. Cui prodest?

 

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Definizione e conseguenze del vincolo culturale

Ai sensi del CBC, le opere d’arte possono essere beni culturali ex lege (art. 10, co. 1 e 2), ossia il loro interesse culturale è presunto e tutt’al più ne va verificata la sussistenza, o possono essere dichiarate tali a seguito di un procedimento amministrativo (art. 10, co. 3).

In entrambi i casi, le conseguenze sono le medesime: una serie di obblighi e limitazioni in capo al proprietario che condizionano marcatamente il godimento del bene (es. ogni trasferimento fisico del bene deve essere autorizzato dalla Soprintendenza locale) e ne limitano il valore economico.

Il divieto di fuoriuscita dai confini nazionali di beni culturali particolarmente importanti dovrebbe sottendere una logica e una politica attiva di valorizzazione che, invece, non è oggetto di alcun obbligo (né incentivo) in capo al proprietario.

Lo stesso prestito di beni culturali per mostre ed esposizioni (art. 48, CBC) è subordinato ad un’autorizzazione statale, il cui rilascio è vincolato al rispetto formale di numerose condizioni, tra cui il termine per la presentazione della richiesta (almeno quattro mesi prima della mostra) e l’allegazione di una copiosa documentazione (condition report, facility report, loan form, ecc.), che spesso scoraggiano il proprietario dal cimentarsi in simili iniziative.

A riprova della ratio che ispira la politica di tutela in Italia, va osservato che, diversamente da quanto avviene in altri Paesi (come il Regno Unito), l’Italia non prevede alcuna garanzia di immunità dal sequestro per i beni culturali di provenienza straniera che entrino nel territorio nazionale per una mostra o un restauro. Ciò scoraggia il transito in Italia di opere d’arte dalla provenienza incerta o dibattuta, evenienza tutt’altro che rara.

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Regime normativo della circolazione internazionale dei beni culturali

In aggiunta, in tema di circolazione internazionale, il CBC traccia una summa divisio in tre categorie:

Beni la cui uscita definitiva è vietata (art. 65, co. 1 e 2, CBC):
i) cose mobili appartenenti a Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali nonché ad ogni altro ente pubblico e alle persone giuridiche private senza fine di lucro (ivi inclusi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti);
ii) raccolte di musei, pinacoteche, luoghi espositivi, archivi e singoli documenti nonché raccolte librarie appartenenti a Stato, regioni o enti pubblici;
iii) i beni di cui all’art. 10, co. 3, CBC (es. raccolte librarie di privati), se intervenuta la dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 13, CBC;
iv) cose appartenenti ai soggetti indicati all’art. 10, co. 1, CBC (Stato, regioni, etc.), opera di autore non più in vita, la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni, fino a quando non sia intervenuta la verifica di interesse culturale (art. 12, CBC);
v) dei beni di cui alle categorie all’art. 10, co. 3, CBC, a chiunque appartenenti, la cui uscita sia considerata dannosa per il patrimonio culturale italiano.

 

Beni la cui uscita definitiva è soggetta ad autorizzazione (art. 65, co. 3, CBC):
i) cose, a chiunque appartenenti, di interesse culturale, opera di autore non più in vita, di oltre 70 anni e dal valore superiore ad euro 13.500;
ii) archivi, singoli documenti di proprietà privata, di interesse culturale;
iii) fotografie, opere cinematografiche e audiovisive di oltre 25 anni, mezzi di trasporto di oltre 75 anni, beni e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica di oltre 50 anni.

Per questi beni è necessario richiedere ed ottenere un attestato di libera circolazione (ALC) tramite il portale online SUE degli Uffici Esportazione, ove il richiedente fornisce una serie di informazioni sul bene (provenienza, attribuzione, valore venale, etc.), che sarà sottoposto a ispezione. La valutazione dell’ufficio esportazione in merito al rilascio o al diniego dell’ALC si fonda sui criteri delineati dal D.M. 537/2017 (es. qualità dell’esecuzione, presenza nelle collezioni pubbliche). Il diniego di ALC implica l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale (il bene non potrà essere esportato). Lo Stato ha la facoltà, e non l’obbligo, di acquistare coattivamente il bene per il quale è stato richiesto l’ALC al valore indicato nella richiesta (art. 70, co. 1, CBC).

 

L’art. 68, co. 3, CBC prevede che l’Ufficio Esportazione rilasci o neghi l’ALC entro 40 giorni dalla presentazione della richiesta. Tale termine, tuttavia, è stato riconosciuto ordinatorio (non vincolante) dalla giurisprudenza, la quale fonda tale orientamento sulla prevalenza dell’interesse pubblico di cui all’art. 9 della Costituzione sul diritto di proprietà del privato.

 

Beni la cui uscita definitiva è libera (art. 65, co. 4, CBC):
i) opere di pittura, grafica, scultura e qualsiasi oggetto d’arte di autore in vita o la cui esecuzione non risalga ad oltre 70 anni;
ii) cose di interesse culturale, opera di artista non più in vita, di oltre 70 anni e dal valore inferiore agli euro 13.500.

Per tali beni deve essere presentata una (auto) dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 che attesti la loro appartenenza ad una delle categorie per le quali l’uscita è libera. Qualora il bene presenti interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione ai sensi dell’art. 10, co. 3, lett. d-bis), l’Ufficio Esportazione avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale, di conseguenza il bene non potrà essere esportato.

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Prospettive di riforma e valorizzazione globale del patrimonio culturale

Rispetto ad altri Paesi europei, che impongono restrizioni analoghe per la protezione del loro patrimonio culturale, l'Italia si caratterizza per una rigidità normativa che penalizza il mercato dell'arte e, soprattutto, comprime in modo eccessivo il diritto di proprietà privata, senza prevedere alcun indennizzo per la perdita di valore conseguente a un divieto di esportazione (come avviene in Francia).

 

Una riforma del sistema dovrebbe innanzitutto armonizzare le soglie di valore al di sotto delle quali lo Stato non può imporre restrizioni, prendendo spunto dai parametri adottati in Francia (€300.000 per i dipinti), Regno Unito e Germania (€ 150.000).

 

L’Italia prevede una soglia di valore unitaria, pari ad euro € 13.500 (per le opere di artista defunto e di oltre 70 anni), superata la quale la fuoriuscita di un bene è subordinata al rilascio di un’autorizzazione, che lo Stato può negare in base a criteri la cui applicazione è fortemente discrezionale. In aggiunta, lo Stato può acquistare coattivamente l’opera presentata all’Ufficio Esportazione per essere esportata, senza che sia vincolato ad acquistarla ad un prezzo parametrato alle valutazioni del mercato o che tenga conto delle eventuali offerte ricevute da potenziali acquirenti stranieri.

 

L'errore di prospettiva è evidente: esportare opere d'arte dall'Italia non significa depauperare il patrimonio nazionale, ma piuttosto valorizzarlo su scala globale. La promozione attiva della cultura italiana all'estero può generare benefici culturali ed economici significativi, senza compromettere l'integrità del patrimonio artistico del Paese.

Ciò non significa di certo propugnare una liberalizzazione fuori controllo dell’esportazione di opere d’arte. I beni caratterizzati da un preciso interesse culturale particolarmente importante, puntualmente riscontrato e motivato, resteranno conservati nelle collezioni pubbliche, fruibili a chiunque.

 

In un'epoca di globalizzazione e scambi culturali, ostinarsi a trattenere rigidamente i beni culturali entro i confini nazionali rischia di essere una scelta anacronistica e, soprattutto, svantaggiosa. Un'apertura strategica e ponderata potrebbe trasformare il patrimonio italiano in un motore di crescita culturale ed economica, restituendo all'Italia il ruolo di epicentro mondiale della cultura. Sarebbe ora di comprenderlo.

 

 

 

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